giovedì 25 gennaio 2018

Centrali Termodinamiche Solari, ovvero la "tecnologia del deserto" che contrasta con la politica agricola europea



La Delibera del Consiglio dei Ministri del 22 dicembre 2017, con cui è stata dichiarata la “insussistenza delle condizioni” per la prosecuzione del procedimento autorizzatorio relativo alla Centrale solare termodinamica (CSP) “Gonnosfanadiga”, sembrerebbe aver messo la parola fine al destino delle megacentrali sul suolo sardo. Non  solo per gli effetti del pronunciamento in sé, comunque dirimente nel contrasto sorto tra Ministero dei Beni Culturali (avverso alla CSP) e Ministero dell’Ambiente (favorevole), ma soprattutto per le motivazioni poste a base del provvedimento.
Agro di Decimoputzu - sito interessato dalla Centrale Termodinamica Solare

Il Consiglio dei Ministri infatti ha assunto a fondamento della decisione i contenuti delle Osservazioni che Comitati, Associazioni, Cittadini, insieme a Regione e Comuni avevano sollevato nei confronti di questi impianti. L’indiscriminato consumo di suolo, l’irreversibile artificializzazione di estese superfici agricole, l’incongruo prelievo di risorse idriche, la distruzione delle matrici ambientali, i costi economici irrazionali, la sostituzione paesaggistica, lo stravolgimento delle attività tradizionali, sono solo alcuni degli effetti deleteri associati a questa tipologia di impianti.
Violando il principio della “sostenibilità”, essi si pongono in contrasto con i contenuti degli Accordi della Conferenza di RIO del 1992 e degli Accordi di Kyoto. In altri termini le CSP,  per le intrinseche caratteristiche e per gli impatti indotti, restano una “tecnologia del deserto” (definizione dello stesso ENEA), da confinarsi in tali ambiti geografici.

Desta sconcerto il fatto che analogo provvedimento di bocciatura non sia stato adottato dal Consiglio dei Ministri nel corso della medesima seduta per l’impianto di “Flumini Mannu”, una Centrale gemella prevista a breve distanza dalla precedente, il cui iter amministrativo risultava antecedente. L’aporia procedurale,  non giustificabile in termini di trasparenza amministrativa, sembra non trovare altra possibile spiegazione se non in pressioni da parte di quei gruppi di potere così attivi in questi due procedimenti di VIA. In tal modo la “residua spes” resterebbe im..boscata sotto compiacenti faldoni in attesa del resurgit  in tempi meno avversi.
Su analoghi procedimenti in corso nella nostra Isola sembrano aleggiare sospetti di condizionamenti. La Regione Sardegna aveva infatti da tempo manifestato la sua aperta avversione alle Megacentrali. Oltre le motivazioni sopra esposte soccorrevano gli espliciti indirizzi del Piano energetico, orientato alla produzione diffusa ed all’autoconsumo, le cogenti norme di attuazione del Piano Paesaggistico che tutelano il paesaggio agrario, le strategie di valorizzazione dei territori rurali, la conservazione dell’ambiente pietra d’angolo annunciata della politica regionale.
Ne erano conseguite azioni esplicite: la dura presa di posizione assunta a Roma nei confronti delle CSP campidanesi, la bocciatura in fase di scoping delle CSP proposte nell’agro di Cossoine e di Uta. Se si vanno a leggere le motivazioni  riportate nel documento che bocciava la CSP “Su Coddu de sa Feurra”, proposta dalla Sardinia Green Island in agro di UTA (Macchiareddu) e stilate dal Servizio di valutazione ambiente (SVA – novembre  2015 – prot. 25534), si resta sorpresi dalle assonanze al limite della citazione tra quelle e le Osservazioni sollevate negli atti oppositivi delle Associazioni ambientaliste.
Sit in davanti al Consiglio Regionale
Com’è dunque possibile, viene da chiedersi,  che a distanza di meno di due anni lo stesso SVA (il medesimo funzionario!), capovolga in senso diametralmente opposto tali motivazioni, dichiarando la compatibilità ambientale della Centrale di San Quirico? A lasciare viepiù stupiti  si aggiunge il fatto che si tratta di un impianto ibrido, essendo prevista anche una centrale a biomasse, i cui effetti devastanti per ambiente e salute erano stati denunciati più volte  dal compianto Migaleddu (ISDE).
Vale rammentare che anche la precedente Giunta Regionale  (Delibera 52/41 del 23.11.2011) aveva bocciato un’altra CSP (non ibrida), proposta da Sorgenia in località Macchiareddu (area industriale),  sulla base di negative valutazioni sugli effetti delle polveri per la salute dei residenti e le attività agricole. Né vanno dimenticate le Osservazioni dello stesso Corpo Forestale Regionale  in merito al reperimento e al consumo delle ingenti quantità di biomasse, che vanificherebbero di fatto  la decantata  riduzione di CO2 e influirebbero negativamente sulle attività agricole delle aree buffer, tra cui spicca per importanza ed esemplarità una Azienda-Fattoria didattica.
L’irrazionalità interna della Delibera con cui la Giunta avalla la compatibilità ambientale dell’impianto di San Quirico, il contrasto con tesi e posizioni manifestate in analoghi procedimenti, le incongruenze nell’individuazione dell’iter amministrativo, sono di così  lapalissiana evidenza da non lasciar dubbi sugli esiti dell’inevitabile contenzioso che ne scaturirà.
Ha senso interrogarsi sul volto nascosto di tale ambiguità politica? La risposta sfugge alla razionalità dei tecnicismi e si colloca in quel gioco di taciute intese, a Roma come a Cagliari, fertile humus da cui la politica trae continua linfa.
Azienda Agricola da espropriare
Le CSP sono impianti con tecnologie sofisticate, gestite da gruppi imprenditoriali circoscritti ed è per questo che, dietro la caleidoscopica distorsione delle società di scopo,  emerge un disegno coerente di un potere economico, che tenta di condizionare quello politico.  Si tenta di rimuovere l’imprevisto ostacolo, costituito da quella parte dei Sardi che col tempo è andata prendendo coscienza delle problematiche ambientali  e delle potenziali devastazioni legate alle CSP, riducendo la scala dell’intervento e celando gli impatti con relazioni progettuali al limite della falsificazione. Gli incentivi di Stato sulle rinnovabili e in particolare sul termodinamico sono un boccone a cui i nuovi mentori del verde hanno a lungo lavorato nel sottobosco delle aule parlamentari perché ora vi si possa rinunciare!
Così può dunque spiegarsi la strategia di ripiegare su impianti di media taglia, localizzati in aree di ridotte dimensioni che la cecità di proprietari, inconsapevoli quando non conniventi, rende disponibili, evitando così alla Regione l’impopolare  pratica dell’esproprio. Se tali ipotesi dovessero trovare riscontro si aprirebbero per la Sardegna scenari a dir poco devastanti. Tutti i risultati fin qui conseguiti da Associazioni e Comitati in tema di tutela ambientale  rischierebbero di essere rimessi in discussione, perché analoghi impianti potrebbero essere riproposti dopo essere stati rimodulati in taglie medie e localizzati a macchia di leopardo.
E’ all’interno di questo scenario che San Quirico assume il valore di una verifica, lo spiraglio aperto di una finestra da cui si tenta di far rientrare, ciò che a pieno titolo è stato cacciato dalla porta. Una strategia che però non ha alcuna possibilità di successo, perché a quella “sostenibilità declamata” dalla Regione, Ambientalisti e Collettività oppongono una “sostenibilità forte”, fondata sul valore non negoziabile dell’Ambiente, Bene Comune per eccellenza, e sulla infungibilità del capitale naturale.
Anni di lotte, in continuo dialogo con le Collettività,  hanno ormai generato una sensibilità diffusa sulle tematiche ambientali con la quale l’autoreferenzialità della politica dovrà fare i conti. A San Quirico, come a Palmas Arborea, a Oristano come  a Gonnosfanadiga, a Villasor come a Decimoputzu, a Guspini come a Villacidro, a Cossoine come ad Arborea,  Amministrazioni e Cittadini attraverso il dissenso democratico si oppongono all’arbitrio di un potere politico la cui ipoacusia istituzionale ha ormai raggiunto livelli di pericolosa cronicità.
Lo si è potuto constatare nella vicenda del disegno di legge sul Governo del Territorio, allorché frustuli partecipativi sono andati materializzandosi in beceri questionari. La palese violazione dei princìpi della Convenzione di Aarhus (Dlgs.n.108 del 16 marzo 2001), che sancisce l’obbligo di partecipazione dei Cittadini ai processi decisionali in materia ambientale, evocata nella sentenza del Tar Sardegna sulle Serre di Narbolia, ha indotto la stessa Adiconsum ad affiancare le rappresentanze civiche in questa surreale contrapposizione tra Collettività e rappresentanza politica.
Per la prima volta si apre in Sardegna la possibilità di una class action  prom
ossa da Enti Locali, Associazioni, Comitati e singoli cittadini nei confronti della stessa Regione, qualora quest’ultima dovesse procedere al rilascio dell’Autorizzazione Unica.
Mauro Gargiulo - Referente per le tematiche dell’Energia di Italia Nostra Sardegna

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Blog Italia Nostra Sardegna -   Il destino di un territorio
 

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