domenica 6 dicembre 1998

Le attività insalubri della Sardamag di Sant'Antioco

L’annuncio della ripresa produttiva dello stabilimento Seamag per i primi mesi del 1999 ripropone il mai risolto problema delle emissioni inquinanti e con esso la preoccupazione dei cittadini che non intendono più sopportare passivamente l’inquinamento proveniente da un’industria ubicata all’interno del perimetro urbano.
L'impianto in via di dismissione
 Nonostante le assicurazioni provenienti dal management aziendale sulla compatibilità ambientale dell’attività produttiva e sulle moderne misure antinquinamento che intenderebbe adottare, noi siamo convinti che, non potendosi eliminare l’inquinamento, il disagio ambientale sarà purtroppo ancora elevato, soprattutto in considerazione dell’ubicazione dell’azienda e del particolare tipo di processo produttivo. Si tratta, infatti, di lavorazioni insalubri di prima classe (secondo la classificazione del T.U. delle leggi sanitarie del 1934) che dovrebbero svolgersi lontano dai centri urbani. Il fatto che la fabbrica sia a stretto contatto delle abitazioni imporrebbe un drastico abbattimento delle emissioni nocive e quindi costi per impianti antinquinamento tanto elevati da rendere probabilmente antieconomica la produzione. Non bisogna dimenticare che precedenti proprietari pur di non sostenere tali costi hanno preferito costruire un nuovo stabilimento in Sicilia.
Il degrado dell'area adiacente lo stabilimento
Fino ad oggi inoltre i costi dovuti al degrado ambientale causato dalla Sardamag sono stati pagati esclusivamente dalla collettività (basti ricordare, oltre ai “costi sanitari”, che fine ha fatto la laguna di sa punt’e s’aliga e il piano di recupero della Palmas Cave). A questo proposito è del tutto inaccettabile la semplicistica e fuorviante analisi effettuata dall’attuale amministratore delegato della Seamag che si limita ad enfatizzare la distribuzione di decine di miliardi di “denaro vero” in stipendi, appalti, e servizi, omettendo di quantificare i costi sociali (questi sì, veri) già sopportati e che dovrebbe ancora sopportare la comunità. Non ci pare proprio una seria analisi costi-benefici!
In definitiva, le vittime di questa situazione sono sempre le stesse: i cittadini di Sant’Antioco, compresi i lavoratori della ex Sardamag che da anni vivono in una condizione di precarietà e ai quali, nel corso dell’ormai decennale crisi dell’azienda, le amministrazioni pubbliche non sono state in grado di dare alcuna valida alternativa occupazionale.
Anche la prospettata riapertura della fabbrica, oltre ai problemi ambientali che inevitabilmente creerà, non libererà quei lavoratori dalla loro condizione, ma servirà ad alimentare fratture nel tessuto sociale che, tra l’altro, sarebbero ulteriormente amplificate da un referendum dall’esito scontato.

Sant'Antioco 6 dicembre 1998 

sabato 2 maggio 1998

Lettera al presidente dell'ANCI Sardegna

Egregio Presidente Emiliano Deiana
non è casuale il fatto che Italia Nostra Sardegna si rivolga a Lei proprio nel pieno dell’emergenza sanitaria per segnalare l’importanza della problematica relativa alla tecnologia 5G. È infatti sotto gli occhi di tutti come la sottovalutazione degli impatti sulla salute collettiva di alcuni fattori di non difficile prevedibilità, a causa dell’incidenza negativa di tali fattori sull’economia, sia costata alla collettività la perdita di molte vite, delle libertà individuali, dei normali rapporti sociali ed alla Nazione un danno economico ed occupazionale incalcolabile. A ciò si aggiunga che tutto lascia credere che l’attesa ripartenza sarà caratterizzata da caos operativo e allentamento dei vincoli normativi. Una situazione della quale gli operatori economici, e tra essi in particolare quelli interessati alla diffusione del 5G, potrebbero giovarsi.
Le anticipiamo che Italia Nostra non nutre alcun pregiudizio nei confronti di tale tecnologia, perché non avrebbe alcun senso opporsi a conquiste del genio umano in grado di facilitare i rapporti sociali ed i metodi di lavoro, a patto che il progresso tecnico non comprometta il rispetto della salute e gli interessi collettivi a vantaggio di quelli aziendali. 
Considerata la delicatezza e complessità dell’argomento preferiamo attenerci ai fatti che andiamo di seguito ad esporre.
Come Le è certamente noto, la tecnologia 5G consiste in una rete di nuova generazione che andrà a superare l’attuale 4GLTE. Essa si basa su reti in grado di utilizzare onde radio ad (estremamente) alte frequenze, fino a 300 GHz (le reti attuali sono comprese entro i 5 GHz). Sono proprio le frequenze più elevate che consentono un aumento della velocità del segnale, ma al contempo rendono la propagazione più difficile, obbligando ad un’implementazione esponenziale dei ripetitori. Tutto ciò implica una permanente situazione di inquinamento da elettrosmog, nella quale la popolazione si troverà costantemente immersa a prescindere dell’utilizzo della tecnologia e dei vantaggi che da essa può trarne. 
Quali sono i rischi per la salute che ne possono derivare?
Le radiofrequenze 5G sono un mondo del tutto inesplorato e in tale ambito manca uno studio di valutazione del rischio sanitario per la salute dell’uomo e per la conservazione degli ecosistemi. 
Con discutibili modalità di approccio gli operatori del settore, usufruendo della complicità di alcune amministrazioni non pienamente consapevoli dei rischi potenziali, hanno avviato un programma di sperimentazione a livello nazionale. Il programma è stato presentato come funzionale alla risoluzione di problematiche di carattere tecnico, ma pur non entrando nel merito e nella liceità del procedimento, non può non sorgere il sospetto che dietro lo scudo della sperimentazione si celi l’interesse ad analizzare gli effetti della nuova tecnologia sulla salute umana. Provi ad immaginare, a solo titolo esemplificativo quale danno economico e di immagine potrebbe derivare ad una multinazionale da una class action intentata nel futuro da un’intera comunità in caso di accertato danno alla salute.  Viene infatti da chiedersi per quale motivo sarebbero state selezionate comunità di irrilevante consistenza demografica, che poco interesse hanno a giovarsi di un 5G, e che non presentano forme urbane e demografiche confrontabili con quelle delle metropoli.  
Attenendoci allo stato delle attuali evidenze scientifiche possiamo affermare che:
·       Nel marzo 2018 sono stati diffusi i primi risultati dello studio condotto in Italia dall’Istituto Ramazzini di Bologna (Centro di ricerca sul cancro Cesare Maltoni) che ha considerato esposizioni alle radiofrequenze della telefonia mobile mille volte inferiori a quelle utilizzate dal National Toxicology Program riscontrando però gli stessi tipi di tumore;
·       Il 1° novembre 2018 in National Toxicology Program ha diffuso il rapporto finale di uno studio su cavie animali dal quale è emersa una chiara evidenza che i ratti maschi esposti a radiofrequenze 2G e 3G sviluppano rari tumori delle cellule nervose del cuore. Il rapporto aggiunge che esistono anche “alcune evidenze di tumori al cervello e alle ghiandole surrenali”;
·       Nel 2011 la IARC (International Agency for Research on Cancer) ha classificato i campi elettromagnetici delle radiofrequenze come possibili cancerogeni; 
·       Nel 2011 la EC (European Consumers) e l’ISDE (Associazione medici per l’ambiente) hanno pubblicato un documentato “Rapporto indipendente sui campi elettromagnetici e la diffusione del 5G”, nel quale è esposto lo stato delle ricerche sulle interazioni delle radiofrequenze nei riguardi dei sistemi biologici (vedasi documento allegato).

Vi è da aggiungere che all’interno di ogni aggregazione sistemica biologica (umana, animale e vegetale) è stata ormai da tempo accertata la presenza di specifiche forme di vita associata o di singoli individui che possono presentare una “ipersensibilità elettromagnetica”. Tale condizione biologica rende questi soggetti particolarmente esposti all’azione dei campi ad alta intensità energetica, quali quelli generati dalle reti 5G. In merito l’Assemblea del Consiglio d’Europa ha invitato gli Stati membri a riconoscere l’elettrosensibilità come una disabilità, e in termini analoghi sono state emesse nell’ultimo decennio una serie di sentenze dalla magistratura internazionale e italiana che attestano il danno da elettrosmog, elettrosensibilità e il nesso causale telefonino=cancro, anche oltre ogni ragionevole dubbio. 
Giova peraltro ricordare che ai Governi compete la responsabilità della tutela della salute dei loro popoli e che è compito di ogni Stato provvedere all’eliminazione delle situazioni di non-benessere e garantire il diritto costituzionale alla salute, un caposaldo tra quelli della persona. Al contrario quella 5G è una tecnologia ubiquitaria e come tale non consente scelte, in aperta violazione del diritto individuale di poter scegliere di non avvalersi di un mezzo di qualsiasi natura qualora lo si ritenga lesivo della propria incolumità.
Non è a Lei certo, per il ruolo che ricopre all’interno dell’ANCI, che si dovrà ricordare che al Sindaco compete la responsabilità penale, civile, amministrativa, ai fini degli accertamenti nelle sedi competenti delle conseguenze di ordine sanitario che possono manifestarsi sia a breve che a medio e lungo termine nei confronti della popolazione residente nel territorio comunale.
Alla luce delle considerazioni sopra esposte e in applicazione del principio di precauzione sancito dal Trattato di Maastricht ed enunciato nell’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’UE, nonché in conformità al principio di trasparenza della Pubblica amministrazione, in qualità di stakeholders riconosciuti a livello nazionale ci facciamo portavoce delle istanze dei Comitati, delle varie aggregazioni sociali e di singoli cittadini, chiedendoLe di:
  • Informare tempestivamente le popolazioni nel caso di richiesta di installazione di antenne 5G;
  • Aprire e tenere aperto un tavolo di confronto a carattere regionale ed anche locale sull’argomento 5G con i Comitati e le Associazioni portatori di interessi;
  • Suggerire alle amministrazioni locali l’adozione in via precauzionale di ordinanze contingibili e urgenti a tempo indeterminato, che vietino l’installazione di antenne o l’utilizzo delle esistenti per tecnologie 5G su tutto il territorio comunale (come già fatto da molti Sindaci sul territorio nazionale e da alcuni anche in Sardegna);
  • Garantire una informazione plurale alle cittadinanze senza sottostare ad assicurazioni tranquillizzanti da parte di coloro che hanno interessi economici nella creazione delle reti o nella diffusione della tecnologia.
 In attesa di una Sua gradita risposta, La ringraziamo per l’attenzione e esprimiamo auspici che la Sardegna possa costituire nell’ambito dei processi decisionali un esempio di democrazia e di responsabilità civile a tutela del territorio e della salute di coloro che vi sono nati e di quelli che intendono sceglierla come terra di adozione. 
Si allega il Rapporto Indipendente sui campi elettromagnetici e la diffusione del 5G. a cura dell’ISDE
Li, 30 aprile 2020

                 Graziano Bullegas                                 Mauro Gargiulo
Presidente Italia Nostra Sardegna            Segretario Italia Nostra Sardegna



mercoledì 1 aprile 1998

L'insostenibile inapplicazione di un Piano

28 aprile 2020
Per una società del secondo millennio appariva impensabile che si potesse verificare una crisi sanitaria con effetti paragonabili a quelle che abbiamo appreso dai libri di scuola. Oggi ci ritroviamo confinati nelle nostre case, privi delle nostre certezze, divisi nelle scelte. Nessuno può ritenersi depositario di un futuro, che già in precedenza appariva nebuloso e incerto sotto i colpi delle crisi ricorrenti. Con questo documento, partendo dall'analisi di alcuni momenti chiave del disastro pandemico, intendiamo proporre una riflessione sugli effetti che ne sono derivati. Dal quadro che ne scaturisce risulta in tutta la sua evidenza la fragilità di un pianeta prossimo al collasso e la necessità di un cambiamento sistemico che investa tutti i campi dell'agire umano, piuttosto che la ripresa dissennata di una corsa senza meta.
di
Graziano Bullegas, Giorgio Cenetto, Mauro Gargiulo, Antonio Muscas e Gisella Trincas


Virus e Sistemi di difesa, cosa non ha funzionato
A rigor di logica un sistema di difesa dovrebbe essere costituito da un articolato insieme di elementi utili a proteggere il territorio di uno Stato ed i suoi abitanti da qualunque evenienza capace di arrecare un danno tale da minarne il funzionamento, smembrarlo o addirittura distruggerlo.
Poiché gli attacchi che uno Stato può subire non sono esclusivamente di tipo bellico (si pensi ad una guerra batteriologica, chimica o informatica), al pari dei sistemi di difesa tradizionali, di cui l'Italia è certamente ben dotata, si rendono indispensabili anche altri sistemi utili a far fronte ad altri pericoli, in questo caso specifico una pandemia di tipo virale.
L’Italia infatti possiede un Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale[1]ma è stato totalmente disatteso, nonostante contenga tutte le azioni da intraprendere prima, durante e dopo il diffondersi delle pandemie. Il Piano Pandemico è stato raccomandato dall’OMS a tutti i Paesi “seguendo linee guida concordate” ed è stato il Ministero della Salute a farsi carico della sua elaborazione e attuazione, anche per il tramite del CCM (Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie), in accordo con le Regioni, i Dicasteri coinvolti, il Ministero degli Affari Esteri e gli Organismi Internazionali.
Le Regioni/Province autonome, come si può leggere nel Piano, assumono, ciascuna per gli aspetti di competenza territoriale e di concerto con il Ministero della Salute, le responsabilità di approntamento e di mantenimento in efficienza, in armonia con la stessa pianificazione, di tutte le capacità/risorse indispensabili a porre in atto le contromisure per le fasi di prevenzione, contenimento, risposta, ripristino che siano in relazione ad eventi epidemici influenzali.

L’Italia aveva approntato il Piano, da aggiornarsi periodicamente, già dai primi anni del 2000, elaborato in conseguenza delle numerose emergenze degli ultimi anni e in ragione dell'alta probabilità che si potesse verificare una pandemia. Le misure preventive consistono in piani specifici da mettere a punto sin nei minimi dettagli, da verificare accuratamente prima del verificarsi degli eventi anche con test, simulazioni, “con esercitazioni nazionali e regionali, cui parteciperanno tutte le istituzioni coinvolte in caso di pandemia”.
Poiché “l’incertezza sulle modalità e i tempi di diffusione determina la necessità di preparare in anticipo le strategie di risposta alla eventuale pandemia...”, il Piano generale contiene le procedure da seguire, dimensiona e individua le infrastrutture e i dispositivi da impiegarestabilisce i quantitativi di apposite scorte di materiale e medicinali da avere sempre a disposizioneprevede la formazione del personale coinvolto, sanitario e non, e le modalità di informazione ed eventualmente formazione delle comunità interessate.
Nessuna delle misure previste è stata adottata!
Il problema perciò non è consistito esclusivamente nella carenza di posti letto e di terapie intensive, ma nella incapacità dell’intero sistema nazione e della strategia predisposta dal Piano nazionale di dare una risposta adeguata alla devastante aggressione del Coronavirus.


Cosa ha favorito la propagazione del virus?
È oramai accertato il nesso tra allevamenti intensivi, disboscamento, inquinamento diffuso e sviluppo del virus: la sottrazione degli habitat di specie selvatiche portatrici di malattie trasmissibili all’uomo e l’aumento vertiginoso degli allevamenti industriali di bestiame, favorisce la trasmissione e la diffusione delle malattie tra specie selvatiche e animali d’allevamento e tra questi ultimi e l’uomo. Negli allevamenti intensivi l’elevata concentrazione di animali in spazi ristretti, a cui si associa lo stress psicofisico degli stessi (a dispetto di un’estesa normativa sull’obbligo del rispetto del benessere animale), favorisce lo sviluppo e la propagazione delle malattie infettive, alla qual cosa si sopperisce con somministrazioni massicce di farmaci (in genere antibiotici) anche in forma preventiva. Conseguentemente gli agenti patogeni sviluppano sempre maggiore resistenza ai farmaci utilizzati, rendendo necessario un continuo sviluppo di nuovi e più aggressivi farmaci: un circolo vizioso che comporta inevitabili implicazioni sull’uomo nell’eventualità di un salto di specie. Degna di nota è anche l’elevata incidenza di malattie tra il personale impiegato negli allevamenti a causa dello stretto contatto con gli animali e dell’attività in presenza di numerose sostanze contaminanti[2]
Le evidenze statistiche[3] confermano che la diffusione del virus e la sua già elevata letalità si accrescono con l’esposizione alle sostanze inquinanti; tra queste in particolare le polveri sottili e la diossina, che oltre a fungere da veicolo per la trasmissione del virus, sono responsabili della compromissione della salute umana e del sistema respiratorio in particolare, proprio quello aggredito dal virus[4].
Anche l’alimentazione e la salute psicofisica giocano la loro parte in questa vicenda, poiché è evidente che un fisico sano più difficilmente viene aggredito da virus e malattie e meglio ad esse resiste.
Non a caso le Regioni più colpite corrispondono ad aree altamente contaminate per la presenza di insediamenti industriali, inceneritori, e allevamenti intensivi[5], senza voler tacere che sono le stesse in cui la sanità pubblica, nonostante la vantata eccellenza, è stata maggiormente compromessa da tagli, aziendalizzazione e privatizzazione.
A livello di comunità sono invece le condizioni di deprivazione (scarsa istruzione, promiscuità, sovraffollamento, povertà, marginalità, problemi di igiene, fragilità, difficile accesso al cibo sano, ai servizi e alle cure) a incidere maggiormente nella diffusione del virus. I dati degli Stati Uniti mostrano un incredibile rapporto di 6:1[6] nella mortalità tra afroamericani e bianchi, confermando ancora una volta che gli individui e le comunità deprivati risultano essere più esposti alle malattie e ai virus. Si intende far riferimento agli abitanti delle periferie povere delle città, (migranti, internati, carcerati, ecc.), per i quali recenti studi pubblicati in Inghilterra[7], certificano in modo inoppugnabile differenze di aspettativa di vita fino a 10 anni rispetto a individui benestanti residenti nei grandi centri forniti di servizi alla persona adeguati.

C'è poi un luogo di cui poco si parla e su cui invece sarebbe bene interrogarsi: le carceri italiane. Qual è stato e qual è l'impatto del COVID 19 sul sistema carcerario? Questa pandemia potrà essere l’occasione buona per cambiare qualcosa all’interno di esso, visto che finora nulla è stato fatto?
Degli effetti del virus sulle carceri e soprattutto sugli esseri umani che ivi sono detenuti in condizioni che poco hanno di umano, si parla molto poco perché il tacerne comporta di fatto la negazione stessa dell’esistenza ed infatti le carceri italiane sono un problema rimosso da tempo. Il virus ha solo ulteriormente esasperato una situazione già molto critica, evidenziando le storture di un sistema a causa delle quali l’Italia più volte è stata sanzionata e richiamata da organismi sovranazionali.
I contagi all’interno degli istituti di pena, pur nella difficoltà di reperire dati attendibili, sembrano siano in continua crescita. La speranza è che la crisi in atto e l’inadeguatezza delle strutture penitenziarie sensibilizzino la coscienza di una società civile, spesso ignara di tale realtà, e riescano finalmente a imporre interventi di tutela della salute e della dignità delle persone detenute al di là anche dell’emergenza.
Risulta dunque evidente come la diffusione del virus corona e delle malattie infettive di pari portata non possa essere contrastata circoscrivendo l’ambito delle misure di intervento alla semplice tutela dell’individuo o della stretta cerchia di appartenenza: il virus colpisce di più le persone vulnerabili, ma da queste si diffonde verso tutti gli altri soggetti. Difendere i più fragili significa perciò difendere le comunità nella loro interezza e integrità.


…e non dimentichiamo la scuola!
Il coronavirus ha avuto un impatto molto forte sulla quotidianità.
Molti docenti, in maniera volontaria e spontanea, hanno ritenuto indispensabile affrontare questa fase di emergenza con un’azione di compensazione e di sostegno agli alunni, in modo da adeguare la funzione pedagogica alla situazione di disagio emozionale vissuta da queste giovani generazioni, fornendo un supporto a volte didattico, spesso psicologico ad un corpo discente divenuto d’improvviso fragile, ansioso, apprensivo.
Ad un tale spontaneo contributo, che afferisce al senso di responsabilità della funzione quanto al conscio farsi parte di una collettività, si è risposto da parte dello Stato con l’esasperazione dei controlli, l’imposizione di metodologie e l’inasprirsi di un regime autoritario e verticistico, attuato mediante decreti e circolari da parte di funzionari che sono inclini a derogare alle normative esistenti.
Sull’esperienza conseguente all’epidemia in una prospettiva futura occorre riflettere sui contesti umani e strutturali in cui ci si è trovati ad operare e sulle difficoltà di effettivo recepimento e realizzazione che già la situazione attuale sta evidenziando. Se da un lato non è ipotizzabile un mero ritorno al passato, dall’altro è necessario programmare un futuro che superi le evidenti ed insostenibili contraddizioni del presente.


Commissione tecnica
Sono 950 i parlamentari in Italia, ma la Commissione nominata dal Presidente Giuseppe Conte è composta esclusivamente da tecnici, mentre sono assenti figure non solo rappresentative della società civile, ma in grado di fornire un contributo ed un approccio alla problematica che non sottenda necessariamente un confinamento dei saperi, una ulteriore conferma di una scissione sempre più profonda tra discipline umanistiche e scientifiche. È evidente dunque che continua a mancare una visione olistica delle conoscenze umane, la realizzazione di una interdisciplinarietà che non sia confinata alle teorizzazioni universitarie ma che entri una volta per tutte non solo nel fare ma nel modo di pensare della società e delle sue componenti. Una visione così settoriale conduce inevitabilmente ad una lettura dei processi storici in chiave deterministica e quasi esclusivamente si polarizza sui fattori economici[8]. Se a giustificazione della scelta può essere invocata la situazione emergenziale, occorre riflettere sul costante e sempre più ravvicinato riproporsi delle “crisi” in quest’ultimo scorcio di secolo, e cominciare a comprendere che tali “crisi”, volute o casuali, sono consustanziali al sistema capitalistico o da esso sfruttate in un vero e proprio “modus procedendi”, che induce sistematicamente a trovare esclusive soluzioni di tipo economico ed a invocare la sospensione di tutte quelle garanzie politiche, sociali, economiche, culturali, ritenute impliciti ostacoli al dilagare del liberismo.
Prendere coscienza di questo significa accettare l’idea di una perenne emergenza e di conseguenza della necessità di conservazione degli istituti di rappresentatività e democrazia anche all’interno di task force operative, anzi proprio all’interno di esse, perché sarà in quella sede che si porranno le premesse per la “normalizzazione” postpandemica. In una tale prospettiva è la Politica a dover svolgere il ruolo cui essa è eticamente chiamata ovvero ad agire quale collante fra le componenti sociali, a rendere compatibili tra loro le diverse istanze, ad adottare gli opportuni strumenti di sintesi. È sempre alla politica che deve accollarsi la piena responsabilità delle azioni, rinunciando alla formula assolutoria delle “scelte dei tecnici”, i quali a loro volta ben consci del rischio esigono, in connivente intesa, la depenalizzazione aprioristica di ogni loro proposta. Affidarsi dunque unicamente alle soluzioni prospettate da una squadra di tecnici (peraltro individuati motu proprio dall’uomo solo al comando) con l’unico obiettivo del rilancio dell’economia, significa preordinare tali soluzioni a beneficio di ben individuabili destinatari.
A sostegno di un tale tesi possono addursi i contenuti delle proposte finora emerse, all’interno delle quali non è dato di rinvenire tagli alla difesa o ai sussidi ai combustibili fossili, mentre si prevede di aumentare ancora il debito pubblico, destinando ingenti capitali, senza le adeguate garanzie di restituzione, in prevalenza ai grandi gruppi industriali.


Soluzioni di uscita
Fino ad ora il Governo ha proceduto attraverso l’emanazione di DPCM che costituiscono strumenti normativi di carattere eccezionale, previsti dalla Costituzione per situazione emergenziali. Tali istituti infatti conducono alla sospensione dei diritti individuali e ad una interruzione del confronto parlamentare. Uno strumento legislativo dagli effetti così devastanti, pur giustificato dal sorgere di un pericolo non altrimenti contrastabile per la Nazione, contiene comunque in sé i germi di un potere esondante e del cui esercizio nessuno può farsi garante, a meno che ci si intenda porre al di fuori della legge, se non al di sopra della stessa. Ancora una volta si evidenzia la falla provocata, quasi a beffa in un sistema democratico, da un nemico di dimensioni infinitesime, per contrastare il quale erano stati in precedenza predisposti strumenti rilevatisi ampiamente inadeguati. Una Maginot sanitaria si potrebbe dire! Un motivo in più perché si torni nei tempi più rapidi possibili al ripristino del normale fluire dell’ordinamento democratico, adottando quelle misure che pur garantendo la salute della popolazione, non ne soffochino le fondamentali e inalienabili istanze fisiche e spirituali.
Infatti, lo stato di sorveglianza costante a cui la popolazione appare attualmente sottoposta non fa che mortificare ulteriormente il già indebolito stato emotivo individuale e collettivo, oltre che evocare anche solo a livello psicologico esperienze traumatiche non lontane nel tempo, traumi che hanno segnato il destino di questa Nazione. Inoltre, il conferimento di strumenti di polizia a pezzi dello Stato (o addirittura a soggetti che non ne fanno parte) senza specifiche competenze o in deroga al dettato costituzionale appare di una gravità e pericolosità intuitiva. Non sono rari i gravi casi di abusi nell’esercizio di tali compiti che i cittadini hanno già denunciato. E non solo! Il dispendio economico correlato a questa massiccia opera di vigilanza potrebbe certamente essere impiegato per risollevare un Paese letteralmente in ginocchio sotto il profilo economico. Allo stesso modo si ritiene necessario, visto il momento di grave emergenza, bloccare qualsiasi spesa in armamenti e strumenti di guerra. (ogni cacciabombardiere F35 costa circa 150 milioni di euro!)
Appare dunque deviante contrapporre sbrigativamente i modelli Sudcoreano e Italiano, soprattutto se si pensa all’aperta violazione dei diritti individuali, che invece la nostra Costituzione garantisce. Nel primo caso infatti si ha un tracciamento e controllo serrato dei movimenti anche attraverso la potenziale diffusione delle informazioni ad esso sotteso, mentre nel secondo si applica una severa restrizione alla libertà di movimento. In questi giorni, tra l’altro, l’Italia con l’adozione del sistema di tracciatura dei contatti denominata “Immuni” sembra voler mettere i cittadini nella difficile condizione di dover scegliere tra i due mali.

Esiste invece una terza via, che però richiede uno capovolgimento dell’approccio al problema e implica una sostanziale modifica dei nostri modelli economici e della visione e dell’organizzazione sociale. Una risposta adeguata e duratura alla pandemia, non in contrasto col dettato costituzionale, e in grado di restituirci la libertà individuale, dovrebbe consistere in un complesso di misure, da prevedersi all’interno di un articolato Protocollo Sanitario, differenziate per emergenze e distinte per situazioni e localizzazioni, e nella immediata messa a disposizione per tutta la popolazione di dispositivi di protezione adeguati (oggi ancora introvabili a distanza di oltre due mesi).
A seguire, l’adozione di politiche che prevedano il ripristino dell’intero sistema pubblico sanitario al fine di garantire l’accesso collettivo ai servizi anche mediante la loro razionalizzazione e diffusione nelle aree più marginali ed esposte, e che promuovano la prevenzione sanitaria (a partire dal superamento di tutte le strutture segreganti e istituzionalizzanti per anziani e persone con disabilità), l’educazione alimentare, e tutti gli interventi intesi a limitare al minimo le cause dell’inquinamento ambientale: riduzione drastica dei consumi e degli sprechi; riduzione fino all’azzeramento del consumo di suolo, delle risorse naturali e dei combustibili fossili; recupero, ripristino, protezione, gestione e tutela delle foreste, degli ambienti naturali e degli habitat selvatici; rilocalizzazione delle attività produttive, in particolare delle attività agricole e dell’allevamento, favorendo l’agricoltura estensiva e biologica. Obiettivi prioritari per tali politiche sono da ritenersi la promozione di stili di vita più sani, il potenziamento pubblico del sistema di educazione (istruzione e formazione), la garanzia di assicurazione dei servizi alla persona, e di adeguate forme di sostegno al reddito per le fasce più deboli o in difficoltà per la popolazione.
Inutile ricordare che la tutela della salute pubblica dovrebbe essere assicurata attraverso la totale revisione delle produzioni industriali al fine di assicurare che le stesse oltre a non creare danni ambientali ed inquinamento, non arrechino alcun danno diretto o indiretto alla salute della popolazione. In una tale ottica appare non dilazionabile la scadenza del Governo per l’abbandono dei combustibili fossili prevista dal PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) per il prossimo 2025.
Come pure indifferibile è l’intervento pubblico in attività volte al contrasto al dissesto idrogeologico, alla bonifica delle aree degradate dalle attività industriali, alla messa in sicurezza antisismica degli edifici pubblici e dei centri storici, al potenziamento della rete di trasporti pubblici e di infrastrutturazione cittadina quali acquedotti e sistema fognario, al sostegno finanziario dell’efficientamento e del risparmio energetico, alla messa in valore dello straordinario patrimonio ambientale e paesaggistico del nostro paese.
In sintesi, il sistema economico e produttivo dia luogo ad una vera riconversione ecologica di cui il pianeta ha bisogno[9] e che non può essere ulteriormente dilazionata. Esiste in questo momento il concreto pericolo che la crisi economica causata dalla criticità sanitaria possa portare all’allentamento delle regole e delle prescrizioni previste dalla normativa ambientale. Sarebbe l’errore più grave che si potrebbe commettere perché significherebbe predisporre il terreno fertile per una nuova e più grave crisi sanitaria e ambientale. Noi auspichiamo invece che questa crisi porti tutti ad una seria riflessione sulla necessità ineludibile di sostituire, a partire dalla fase di transizione verso la normalità, l’attuale sistema economico, fondato sul consumo e sullo spreco, con uno che ponga al primo punto il rispetto dell’ambiente, del territorio e della salute dei cittadini. 

E allo stesso modo della sanità e dell’ambiente anche la scuola ha bisogno di disporre di risorse e di un adeguato sostegno pubblico, ma soprattutto di una rivalutazione culturale del suo ruolo all’interno di una società che richiede in modo sempre più pressante conoscenza e formazione ma anche rispetto per l’individuo e per le sue peculiarità. Scuola, sanità, ambiente devono avere un ruolo centrale e strategico, pena il collasso dell’intero sistema sociale. Non sarà comunque sufficiente l’introduzione di nuovi strumenti ed un adeguamento del personale e delle strutture scolastiche, se non ci sarà il supporto di una visione complessiva che assuma a fondamento l’idea di una società nuova, più inclusiva, più giusta, che consideri sì le tecnologie strumento di progresso ma nello stesso tempo assuma a valore fondante le relazioni umane e con esse la valorizzazione delle diversità (degli individui, degli ecosistemi, delle realtà sociali), che non lasci spazio allo sfruttamento delle persone e dei sistemi ma sia governata dagli equilibri degli ecosistemi naturali e umani.

Graziano Bullegas, Presidente Italia Nostra Sardegna
Giorgio Canetto, Cesp Cobas - Centro Studi per la Scuola Pubblica Cagliari
Mauro Gargiulo, Segretario Italia Nostra Sardegna
Antonio Muscas, Attivista per l'ambiente e i diritti umani
Gisella Trincas, Presidente A.S.A.R.P.